LETTERA PER UNO PSICOIDE. Lorenzo Chiuchiù

Caro Marco,

ho appena finito di leggere Sindrome del ritorno. Mi colpisce la trama della scrittura: la rete deve essere molto fitta per portare alla luce qualcosa che somiglia ad una mitosi psichica: nuclei che si dividono in apparenza ciecamente, guidati in realtà dalla forza che li informa e li trascende. Oppure: una specie di migrazione interna, che segue un sole accecato, un vento e una disillusione trasparenti, glaciali. Scrivi di una fuga ma non le concedi alcuna trascendenza. Non è insomma la fuga epica del ribelle (ad esempio Juenger), non quella di chi inventa una lingua del gesto angelico (Artaud) 
o del logos eternamente crocifisso e eternamente da salvare (Van Gogh). C’è un singolo che non conosce edificazione (nemmeno quella paradossale di Kierkegaard), né l’ebbrezza eversiva di Stirner. Tu scrivi di un movimento centrifugo; l’angoscia nasce dell’illusione di muoversi in un cerchio mentre si è su una spirale verso un qualche centro o abisso: lo psicoide deve concentrarsi, ridursi all’osso, deve trovare un luogo separato ma non lontano
 (a differenza del bosco di Juenger, della glossolalia di Artaud, o dell’“altissimo giallo” di Van Gogh). Questo movimento di contrazione tende alla concentrazione delle forze – non tanto a una qualche difesa, ritenuta per altro ignobile oltre che impossibile. È il tentativo di diventare interi in un dominio chiuso ma non immobile: quello che provavo a definire come mitosi o emigrazione interna. Dunque non nevrosi che insiste sul perimetro e lo ripercorre ossessivamente, né psicosi che vuole altri cieli e altre terre. Lo psicoide di cui scrivi parte dal “monolocale da dove puoi – devi – guardare la tua vera casa”: l’oculare – il punto di una luce concentrata – del microscopio così come quello del telescopio sprofonda – diventa – spazi sconfinati nel minuscolo o nell’incalcolabile, le “galassie nuove”. E così quando “corri verso l’insensato. Hai due possibilità: incontrarlo e ammutolire nel suo abisso; incontrarlo e farne la vera sorgente”.

Ti abbraccio, Lorenzo

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